LE EMOZIONI DELL'AFRICA

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LE EMOZIONI DELL'AFRICA

Quando non sei mai stato in Africa le emozioni cominciano a prenderti ancora prima di mettere piede sull’aereo. Cominci a pensare se tutto quello che hai fatto costruito e che hai sognato abbia un senso, ti guardi dentro e rifletti pensando se lo stai facendo per te o per gli altri. Per fortuna ci sono i compagni di viaggio con i quali ritrovi la forza di continuare, con il sorriso, quella che ti sembra un'impresa quasi folle. Già perché poi pensi:ma io che cosa posso fare? non sono un medico, non sono infermiere, conosco poco le lingue, che cosa posso fare io? Pensieri che vanno e vengono ma per fortuna non si fermano, perché devono lasciare spazio a tutta la parte logistica e organizzativa della missione: ho previsto tutto? cosa potrei avere dimenticato? Sei di fronte ad una missione in cui non sai che cosa ti aspetta.
Ti aspetti di provare emozioni immense, soprattutto quando metterai il primo il piede sul territorio africano scendendo dall’aereo. In realtà non hai ancora capito nulla di quello che proverai dopo, proprio nulla.
Dopo 6 ore di volo 6 ore di scalo mi aspettava ancora un viaggio di cui conosco poco, con dei mezzi di cui non conosco l’affidabilità. Dobbiamo percorrere 500 Km in piena notte passando in mezzo a paesi e città, che nonostante sia notte sono piene di vita. In questo viaggio la nostra guida è il nostro amico ed è l’unico punto di riferimento sicuro, la persona che guardi prima di fare ogni cosa perché qua è pieno di gente che parla (in realtà per noi urlano, ma per loro è assolutamente normale).
Un viaggio incerto che non ti permette di dormire, dopo aver incrociato mille fari di camion, che non mettono certo tranquillità, arrivi alle 6 del mattino al villaggio e ad accoglierti ti trovi capre, asini, galline, cavalli, quasi tutti liberi di girare, nel luogo in cui siamo arrivati e che sarebbe stata la nostra casa per i successivi 15 giorni.
Piano piano il villaggio si popola e visto che tanto il sonno è perso, dopo un po 'di assestamento e riorganizzazione, cominciamo a fare un giro nel villaggio e ci rechiamo al mercato della domenica, il più grosso della zona. Subito la sensazione è quella di sentirsi diversi, perché tutti ti guardano, sei quello per cui i bambini ridono incuriositi e si avvicinano per vedere “ cosa” sei, con un misto tra coraggio e paura. E’ lì che capisci cosa si prova ad essere l’uomo nero in mezzo ai bianchi. Inizialmente non è una bella sensazione sentirsi il diverso, poi in realtà capisci che loro, i neri, sono molto più buoni di noi, i bianchi.
Dopo un giorno per riprenderci dal viaggio, sistemare le medicine, e fare il giro di tutte le autorità (prefetto, viceprefetto, capo villaggio e dirigente sanitario) siamo finalmente pronti a fare, a dare senso al nostro viaggio: si parte. La tensione è forte, non sappiamo cosa ci aspetta, sappiamo solo di essere nel bel mezzo dell’Africa in un villaggio sperduto, carichiamo l’ambulanza messa a disposizione dal Poste de Santè e partiamo. Dopo poco più di 500 m si rompe il cambio! anche i carretti trasportati da cavalli ci superano e ci guardano. Questo basta a sciogliere la tensione e a far esplodere una risata collettiva. Ma non nasce nessun sentimento di rassegnazione, non ci arrendiamo! In poco più di 10 minuti Madiaw, la nostra guida, contatta l’unico autista e l’unica macchina del villaggio, un Jeep toyota 4x4 molto mal messa ma va, ha 4 posti tutta per noi. Traslochiamo cibo e medicine e saliamo tutti e sette insieme all’autista.
Finalmente siamo arrivati in un villaggio e dopo aver definito la logistica, sempre molto di fortuna, cominciano le consultazioni. Una volta iniziato non c’è molto tempo per pensare, ci sono centinaia di persone che arrivano per farsi vedere visitare qualcuno per curiosità. Ci mettiamo all’opera e fino a sera non possiamo fare altro che lavorare, tutto ciò che vediamo, ascoltiamo, comprendiamo o non comprendiamo si accumula dentro di noi. Non abbiamo tempo di pensare alle emozioni che proviamo, c’è da fare, arriva la sera ( è buio e qua la corrente non c’è) con fatica e passione abbiamo visitato centinaia di persone tra bambini, anziani e donne. Siamo stanchi, ma c’è ancora qualcuno che non è riuscito ad entrare... vorresti poter non finire, visitare anche loro, ma la nostra guida ci dà lo stop, è giusto ? potevamo fare di più? Guardi negli occhi le persone che non siamo riusciti a visitare e non sai cosa fare... alcune mamme ti parlano con i loro bambini sulla schiena, cerchi conforto nei tuoi compagni perché una risposta giusta non c’è. Eccole le emozioni che escono, sotto forma di lacrima, le emozioni ti fanno visita devastando la mente che fino a quel momento era concentrata sull’operosità della giornata. L’emozione per i bambini che ti cantano in coro per ringraziarti di quanto fatto, l'inchino e il sorriso dei maestri per aver visitato i loro bambini. Le lacrime (nascoste dagli occhiali da sole) sono per quelle persone che non abbiamo potuto vedere ma anche per la gioia che leggi negli occhi dei maestri, delle donne dei bambini, Rassegnazione,, speranza, gioia, tristezza, passione , fatica tutto insieme in un vortice di pensieri che ti accompagna lungo tutto il viaggio di ritorno al villaggio e fino a quando riesci a stare sveglio. Insieme ai miei compagni di viaggio ci confortiamo dicendo che non possiamo vederli tutti, abbiamo scelto alcuni, pensi a quanto possa essere cinico dover scegliere e pensi a quanto sia pericolosamente sottile il filo che divide l’essere cinici dal mettercela tutta. Per fortuna ci sono i bambini, la loro gioia e la loro capacità di comunicare la speranza. Poi pensi a tutto quello che abbiamo noi e pensi che non capiamo quanto sia prezioso e non scontato, riflettendo su come loro abbiano poco ma sono felici ugualmente.
Arrivata la sera, tutti al villaggio si mettono intorno ad un unico piatto. Si mangia tra i racconti di come funziona la vita nel villaggio, su come questo sia una comunità in cui nessuno rimane indietro, il villaggio è un posto dove esci per una passeggiata e ti ritrovi a cantare e a ballare con 50 bambini che si divertono con nulla di cui tu vedi solo gli occhi e senti la gioia, una comunità dove i bambini sono di tutti e nessuno ha paura che qualcuno gli faccia del male. Pensi al fatto che in realtà loro hanno tutto, ma gli mancano solo le cure sanitarie. E noi che ci lamentiamo per il ticket siamo felici? Ci pensi. Tanti, tantissimi pensieri e tante tantissime emozioni.
Il giorno dopo si riparte un altro villaggio con altre situazioni logistiche da costruire, è di nuovo la stessa storia,persone, sguardi, donne, bambini, sorrisi e tantissime emozioni una sopra l’altra . Alla fine di questo viaggio ho capito che chiunque può servire a qualcosa in questo paese, ma che anche da casa si può fare tanto. Ho la risposta alla domanda iniziale: “lo stai facendo per te o per gli altri?”. Tutto questo l’ho fatto per me, per la mia felicità, perché la felicità degli altri mi rende felice.
Una goccia